Omar Battisti – Una volontà di ferro?
Il nuovo modello del funzionamento cerebrale non ha creato una rappresentazione adeguata della parte inconscia dell’essere umano. Di converso però, ha saputo in maniera estremamente efficace scuotere le fondamenta della rappresentazione classica del soggetto cosciente e del suo potere volontario.
Marcel Gauchet, L’inconscio cerebrale
Questo passaggio di un libro molto interessante giuntomi per dono in preparazione a Pipol9, legato in apres-coup a un episodio della mia pratica a scuola come educatore di sostegno, mi ha portato a queste righe. L’idea di una coscienza in grado di padroneggiare ogni attività, impulso, pensiero, desiderio dell’uomo, è, clinicamente parlando, un assunto paranoico. Una posizione dell’essere parlante rispetto al linguaggio e al corpo, che non ammette la possibilità di una dimensione estranea alla volontà. Non è da accusare, controbattere o esserne indifferenti. Occorre farci i conti.
Cosa comporta quest’assunto di base? Il mondo umano è in questo modo ridotto a un meccanismo dominato da leggi ritenute certe e incontrovertibili, in cui ogni cosa ha un posto preciso e definito. Un delirio. Facile a dirsi, meno facile staccarsi dal delirio insito nella credenza che ciascuno ha di se stesso, degli altri, dei casi che gli capitano.
C’è un versante del delirio che già Freud aveva presentato come tentativo di guarigione. Guarire da cosa, anzitutto? Dalla condizione di Hilflosigkeit che tocca ogni esistenza. La dipendenza è un tratto umano, troppo umano. Forse la sua patologia risiede nel credere di poter fare a meno dell’Altro, degli altri, oppure di essere padroni della propria vita. Una “legge di ferro”, disumana e asfissiante è quella che non ammette eccezioni, che si crede fondata su se stessa. La pretesa di cercare leggi cerebrali che dimostrano scientificamente che fare le pulizie allunga la vita, che essere disordinati è sintomo di intelligenza, che, per assurdo, portare le mutande rosse a ferragosto ti assicurerebbe un posto fisso in comune, risponde a questa logica. Ricerche che rimandano sempre a studi condotti tramite risonanze magnetiche o tomografie a emissione di positroni. Si ritrova qui una logica secondo la quale il linguaggio ordina e ingabbia tutto, senza revoche né margini di errore.
Un determinismo assoluto che schiaccia ogni incontro con il nuovo. Lacan parla di inconscio come “del non-realizzato”. Dimensione questa che non si adatta alla legge. C’è un versante infernale in questo modo di vivere e godere.
D’altro canto, c’è un versante che spinge alla creazione, all’invenzione di ciò che non esiste. Se il linguaggio non ha valore di sembiante, il luogo da dove si articolano, si dispiegano e si costruiscono parole, frasi, discorsi – in sostanza, una vita – non è bonificato dal versante mortifero che solitamente rimane rimosso; che fonda l’inconscio come luogo del non saputo, di una soddisfazione impossibile perché creduta interdetta. C’è del mortifero e dell’infernale nel credere di trovare nel cervello la dimostrazione universale e incontrovertibile delle leggi presunte governare ogni esistenza. Introdurre un valore di sembiante in questo modo di essere determinato dal linguaggio, spinge a uno sforzo di creazione, di invenzione di ciò che non esiste. È possibile farsi partner di un tale modo di esistere, senza esserne inglobato totalmente, né credendo di poterlo contrastare?
Forse serve un incessante sforzo di umiltà: essere così prossimi al proprio delirio da non erigerlo a misura del mondo, da separarsi da ogni comoda illusione di padronanza. Essere così prossimo al proprio modo di dare senso e soddisfazione alla propria esistenza, al punto di farsi responsabili e destinatari delle trovate, degli ostacoli, degli arresti, in una parola dell’impossibile e insopportabile, da cui scardinare gli ingranaggi di quella legge di ferro. Occorre passare dalla dimensione della legge a quella della causa, che implica l’imperfezione, errori, inciampi, imprevisti che danno il respiro di un’esistenza. Ora, questa causa non si trova nel cervello ma deriva da un discorso di cui ne è lo scarto e il motore: il discorso analitico.