L’evidenza empirica della Spaltung – Patricia Heffes

#

Accorpare in una frase il discorso scientifico e la scommessa freudiana sull’inconscio è un ottimo modo per entrare nel vivo del tema del prossimo congresso PIPOL. La questione inerente all’esperienza dell’inconscio e il suo non-rapporto con il cervello si muove sul filo di un apparente paradosso. È una frase tratta da un Corso di Jacques-Alain Miller in cui cerca di “fare esistere l’esperienza del reale nella cura analitica” (1), un’idea che a sua volta riprende dal testo di Lacan “La scienza e la verità”.

Che cos’è la prova empirica della Spaltung? È un modo rivisitato di riferirsi all’idea di Lacan secondo cui, per ciò che attiene allo “statuto del soggetto nella psicoanalisi, (…) siamo giunti a stabilire una struttura che dia conto dello stato di spaccatura, di Spaltung – che lo psicanalista, nella sua prassi, reperisce in modo per così dire quotidiano” (2) nel riconoscimento stesso dell’inconscio. Tuttavia, per sapere quanto avviene nella prassi, non basta il mero fatto empirico, per quanto il dato empirico si presenti come un paradosso. È sorprendente come Lacan si riferisca all’evidenza empirica, ancorché esso vada inteso, come dice Miller, non in un modo qualsiasi, ma nel senso che “lo ammette soltanto in quanto crede sia fondata sulla ragione e articolata in matemi”. (3)

Ma cosa c’è da osservare nella pratica? È per mezzo del fenomeno della sorpresa, cui fa riferimento anche Miller nel suo Corso, che si localizza l’esperienza della Spaltung. Quando il soggetto parla, non sa quello che dice; il significato che irrompe si genera peraltro partendo dalla catena significante; ed è essa stessa che s’interpreta nel suo divenire. Si può notare, ad esempio, quanto può sorprendere il significato nuovo che produce un’articolazione significante in quanto distinta da quella precedente. L’effetto di sorpresa sorge nel proprio dire, e quello che colpisce è il significato che assume ciò che esso dice. E precisamente, nel momento in cui il dispositivo psicoanalitico alimenta una parola senza risposta dell’Altro, non fa altro che disintegrare al momento stesso della sua apparizione l’idea del soggetto di reggersi su di un’identità. Pertanto, come segnala Miller, nel dispositivo analitico, la parola stessa è esperienza.

E qualora “della nostra posizione di soggetto [di cui] siamo sempre responsabili” (4) ci sia malinteso, confusione, “errore in buona fede” o qualsiasi altro effetto di non-senso, sarà la Spaltung a irrompere come domanda aprendo la strada alla manifestazione dell’angoscia attraverso fenomeni riconoscibili nell’esperienza. Non v’è dubbio che la Spaltung “si evidenzia” in maniera distruttrice, e porta alla luce che c’è Uno solo che non fa catena, che c’è esso che non si lascia acchiappare dal significante, esso che risiede nel fondamento stesso della Spaltung.

La questione dell’esperienza può essere un ulteriore modo di intendere il “niente in comune” che il titolo di PIPOL 9 ha infrapposto tra l’inconscio e il cervello. L’esperienza della psicoanalisi in quanto esperienza del reale riguarda un concetto singolare di quel reale che Lacan designa come “completamente alieno al senso” (5). È in questo senso che si può affermare che l’esperienza della psicoanalisi non dice nulla sul cervello.

Traduzione: Alessio Catavère

Rilettura di Donato Bencivenga

  1. Miller, J.-A. “La experiencia de lo real en la cura psicoanalítica”, Paidós, CABA, 2011, p. 127
  2. Lacan, J. “La ciencia y la verdad”, en Escritos 2, Siglo XXI, Argentina, 1985, p. 834. (Ed. italiana : Scritti, p. 859)
  3. Miller, J.-A. Id., p.127.
  4. Lacan, J. Id, p.837
  5. Miller, J.-A. Id, p. 133
Print Friendly, PDF & Email

This post is also available in: FranceseIngleseSpagnolo